L’archeologia rivista – TG Plus CULTURA
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I richiami all’archeologia classica, il mondo apulo e dauno rivisitati in chiave moderna. Ecco la ceramica di Giovanni Lenti. Un’esplosione di colori e di richiami al mondo magno – greco
Da “La Gazzetta Archeologica ” :
Raccontare della ceramica di Giovanni Lenti può significare racchiuderne l’espressionismo artistico fermentato in una comunità, Grottaglie, dove l’arte plastica (con creta o argilla o sinonimi quali biancana, coccio, terracotta, terraglia, vasellame…) rappresenta un’importante forza lavoro con forte contributo all’economia.
L’antico e suggestivo quartiere della ceramica – e solo per questo meriterebbe almeno una visita – detto appropriatamente “dei figuli” (“dei vasai” – dal lat FINGERE plasmare, stessa etimologia del termine Figura) sovrastato dal castello Episcopio, è, infatti, un fervore di oltre cinquanta botteghe, di là degli studi d’arte, rassegne annuali, le mostre delle produzioni inclusi i presepi.
Giovanni Lenti, sarebbe stato dunque un predestinato all’arte ceramica fin dalla nascita, fatta salva l’ìnsita predisposizione.
Non è però così schematico; occorre pertanto un proemio storico.
All’alba della storia italiana, gli unici popoli emergenti, via via che si risaliva la penisola, erano i Dauni (Gargano e il Sud), gli Umbri (Conero e Centro), gli Etruschi (Centro-nord); tant’è vero che a quei tempi era familiare la rotta osmotica a mo’ di triangolo che aveva come base Gargano-Conero-Adria e vertice un approdo slavo.
Poi quel popolo alieno stanziatosi di qua delle Alpi, detto appunto cisalpino, che era quello dei Celti, differenziati dai loro simili transalpini (attuale Francia), un popolo originario dalla regione compresa tra l’alto Reno e le sorgenti del Danubio (di fatto, in lingua celtica Reno sta per mare e Danubio che scorre veloce).
I Dauni erano riusciti a imporre la propria identità – da non equivocare con egemonia – con l’esportazione delle loro ceramiche in una vasta area italica, che gli storiografi indicano con la “Grande Daunia”.
Un territorio dove le restituzioni non riguardano solo il puro vasellame. Tracce monolitiche, ovvero lastre cosiddette “Stele daunie”, manufatti artistici di unica fattezza sono stati ritrovati dal centro-nord dell’Italia sino al sud della Puglia, a Mesagne e Cavallino.
Il termine Lastra appartiene al tema mediterraneo LASTRA che vuol dire pietra.
L’interesse suscitato tra le cattedre mondiali dalla prima esposizione in assoluto delle Stele daunie fuori del museo nazionale di Manfredonia, recentemente conclusasi a Montecitorio, ne comprova l’enorme valore per la storia dell’umanità, insieme alla riscoperta del Gargano, il “promontorio del sole”, lo scrigno storico dell’Europa.
Non è un caso, quindi, o una trovata pubblicitaria che detta esposizione romana a Montecitorio è stata denominata Pagine di pietra. Titolo del quale la mostra di Roncade nella Marca Trevigiana, in contemporaneità, come ho riportato in altra sede, risuona con Segni – evoluzione del pensiero.
Pagine di pietra lo sono per davvero, senza retorica, poiché su di ognuna sono incise, artisticamente simboleggiate, le gesta, la fisiognomica, la biografia del rispettivo personaggio al quale è dedicata; particolare tecnico è che in calce (a piè pagina) sono del tutto nude e questo comprova la loro messa in dimora (infissione) nel terreno a mo’ di lapide.
Tutto questo italico fervore artigianale accadeva antecedente all’VIII secolo aC quando ebbe incigno nella penisola quel grande travaso di uomini e idee passato alla storia con la denominazione di Magna Grecia; da allora, la ceramica dell’estremo sud, la messapica, influenzata dagli ellenici, si contrappone a quella originaria dauna.
Per meglio studiare, comprendere e qualificare la perizia artistica di Giovanni Lenti, dunque, occorre non solo guardare al suo paese d’origine, Grottaglie, dove sono stati adottati, da epoche immediatamente successive al Medioevo, lavori identificabili come ceramica capasonara (dal nome di “capaci” recipienti volgarmente chiamati Capasoni) di utilità quotidiana e conservativa dei cibi e bevande e ceramica faenzara questa raffinata, decorativa, tendenzialmente barocca e che arriva a comprendere pezzi unici di altissimo valore, per i quali grandi maestri ceramisti decoratori si sono avvicendati nei secoli.
Da citare lo stile La Pesa, dal nome del famoso ceramista che nel Settecento, avendo operato a Capodimonte, condusse la produzione locale a risentire d’influsso partenopeo.
Non solo al suo paese d’origine, dicevo, per comporre una perfetta esegesi culturale relativa a Giovanni Lenti ma occorre quindi rivolgere l’attenzione in un territorio ben più vasto, insomma alla mitica Grande Daunia.
Questa è dunque la culla magistra in cui Giovanni Lenti è cresciuto frequentando fin da ragazzo le botteghe artigiane, oggi artefice di raffinate opere ceramiche su “lastre”, creazioni esposte in permanenza nella galleria Forme d’Arte a Venezia.
Il suo apporto artistico è stato essenziale al rilancio del rinomato Cottoveneto.
Nell’arte ceramica, la tecnica della “lastra” è ideale per creare oggetti di forme sia regolari sia irregolari, sfruttando la qualità di un “foglio” di argilla.
E’ la tecnica più adatta alla modellazione di forme già definite e a inventive vascolari.
Giovanni Lenti utilizza questa tecnica con padronanza e riesce a creare con spontaneità oggetti di imprevedibile qualità.
Il proprio espressionismo lo porta a sperimentare una moderna concettualità rispetto a quella tradizionale, che giammai però rinnega, pertanto è chiamato a progettare e produrre ceramiche d’arredo.
Per concettualità intendo che in ogni procedimento artistico elaborato, Giovanni Lenti omologa un precipuo atto mentale, vale a dire in piena autonomia espressionistica.
Ed ecco le sue creazioni: lastre o stele quali pagine sparse di antichi tomi amanuensi, doviziosi di segni poliglotti, arcani simboli, meandri, di tracce iconografiche che taluni identificano nella geometria di Dio.
L’autore però non ha inteso sottintendere alcun significato, nessuna tropologia, valorizzando esclusivamente l’estetica e riuscendovi perfettamente, palesando pertanto un genuino espressionismo artistico.
Impronte, dunque, rappresentati con espressione d’armonia che seguono ritmo, eleganza e cromia.
Per quest’ultima, da notare il colore del cosiddetto terzo fuoco, ossia l’oro (a 12 carati) ottenuto tecnicamente con una terza cottura di gradi inferiori alle due precedenti; una tecnica di matrice orientale che richiama il nostro essere figli della cultura indoeruropea, che tanto spesso dimentichiamo.
Pagine biografiche di protagonisti maschili e femminili, dai nobili ai guerrieri e ai personaggi, a indicare tra l’altro un’autentica parità tra i sessi, andata poi smarrita, con rappresentazioni zoomorfe, antropomorfe, floreali, geometriche e di scrittura,.
Pagine dove le decorazioni riassumono l’antica semantica di sigillo… e mi fermo qui, concludendo che nella mappa delle ceramiche d’eredità tutta italica mancava un particolare rinnovamento stilistico e verosimilmente l’attesa pare soddisfatta grazie al Nostro, all’artista qui presente, Giovanni Lenti.
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